Gli intervalli vengono tradizionalmente divisi in consonanti e dissonanti, a seconda che producano un effetto dolce o aspro. Per esempio, l’accordo di do maggiore (che possiamo ottenere sovrapponendo i primi cinque armonici) è formato da intervalli consonanti, mentre quello formato da do-fa#-si-fa-sib contiene numerosi intervalli dissonanti e quindi è estremamente aspro. Possiamo capire meglio la differenza mediante i due grafici successivi, dove le linee sottili rappresentano il singolo suono e quella più spessa l’accordo nel suo complesso. È evidente che la forma dell’onda è abbastanza regolare nel primo caso, al contrario di quanto avviene nel secondo.
Da notare che questa distinzione
non è un giudizio di valore: un accordo non è necessariamente più bello se consonante (anzi, l’uso appropriato di dissonanze rende un brano più espressivo); quello che qui si vuole rilevare è il motivo fisico per cui alcuni accordi (consonanze) danno un senso di quiete, altri (dissonanze) di tensione.
Possiamo osservare come la stessa melodia assuma un aspetto diverso a seconda dei tipi di accordi utilizzati. Nel
primo esempio un flauto solista viene in un secondo momento accompagnato da una viola formando intervalli di ottava, con l’unico risultato di rafforzare la melodia. Infine le due voci procedono per quinte, già un abbozzo di polifonia anche se molto povera: l’effetto è un po’ “vuoto”, quasi come se mancasse qualcosa. Nel
secondo caso le quattro voci formano sempre (tranne la penultima nota) accordi consonanti. Per concludere possiamo ascoltare l’effetto di accordi sempre volutamente
dissonanti , che danno alla melodia, per un ascoltatore non sia già avvezzo a questo genere compositivo, un aspetto strano, quasi extraterrestre.