La morte di chi ci è caro è sempre un’esperienza che ci segna: i pensieri, il dolore, le speranze suscitate rimangono indelebilmente impressi nella nostra memoria. La scomparsa di Franco, cugino dei miei genitori, mi ha fatto rivivere in modo più consapevole (ero più grande) quella di mio padre, avvenuta qualche anno prima. Un po’ per le circostanze (entrambi avevano 41 anni, entrambi se ne sono andati all’improvviso), un po’ perché Franco mi era stato più vicino in seguito alla perdita della figura paterna.
Così ho sentito il bisogno di esprimere ciò che questo evento mi aveva suscitato: i frammenti scritti allora sono stati filtrati, corretti, organizzati vari anni dopo, senza tuttavia aggiungere nulla di sostanziale. Il brano, dopo una brevissima e tranquilla introduzione, esplode all’improvviso su un accordo molto dissonante con un tema teso e agitato esposto dall’orchestra. Lo sgomento per il lutto improvviso viene espresso poi anche dalle voci soliste, anche se in modo meno teso e drammatico. La scala
tono-semitono utilizzata dà una sensazione di incertezza, di mancanza di riferimenti, dopo che già l’orchestra, col suo continuo
modulare , aveva messo a dura prova il senso tonale. L’andante mesto che segue vede l’esposizione, da parte dell’oboe, di un tema triste ed espressivo, intervallato a tratti dal ritmo di una marcia funebre e con qualche spunto contrappuntistico. L’entrata del coro sostituisce alla disperazione dei soli (“Franco è morto, non lo vedrò mai più”) la speranza che la morte non sia la parola definitiva (“Pregate per lui, angeli del cielo, portatelo con voi in paradiso”). Una speranza mesta, che non elimina la tristezza ma le dà un senso. Dopo la ripetizione dei temi dell’oboe e del coro, ritorna nella coda quello iniziale, ancora una volta drammatico e teso; nelle battute finali è invece il coro a dire l’ultima parola: speranza, eternità, paradiso. Johann Sebastian Bach era solito terminare con l’accordo maggiore i brani in tonalità minore; qui, per esprimere la luce di una speranza che tuttavia convive con la sofferenza e il dolore, è il sesto
grado della scala (e non il terzo) ad essere innalzato nel finale di un semitono. Il risultato di questo passaggio dal modo
minore a quello
dorico è come un raggio di luce che illumina il dolore, una promessa vera ma non ancora compiuta.